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Raffaella Ronchetta

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Annamaria Anelli: il funambolo delle parole

2 Ottobre 2018  –  Raffaella  –  Categoria:  Digital PR e comunicazione  –  Tag:  Interviste, Strumenti

Ha gli occhi azzurri come il cielo e una voce calma, serena. Quando parla scandaglia le parole, le sceglie con cura. Senza fretta. Senza ansia.  Annamaria Anelli di mestiere aiuta le persone a raccontarsi in modo semplice e vero. Il 15 ottobre uscirà il suo ultimo libro: “Caro Cliente, chat email e messaggi automatici fuori e dentro l’azienda” (Zanichelli). Annamaria è un funambolo della scrittura, volteggia lieve fra un lavoro e l’altro: formazione, scrittura testi, consulenze, con eleganza e grazia e come i funamboli, leggendo ciò che scrive, ci illude che scrivere semplice sia cosa facile. Così non è. Ci vuole fatica, tecnica, esercizio, passione.  «Scrivere è dialogare con chi legge» e lei lo sa fare benissimo.  

Cosa trovi nell'articolo

  • Annamaria, come sei arrivata a questo bellissimo mestiere?
  • Le persone pensano che utilizzare termini altisonanti le renda più credibili e autoritarie. È così?
  • Eppure tu ami lavorare con la pubblica amministrazione?
  • Come nel caso del tuo ultimo libro?
  • Cosa ami di più del tuo lavoro?
  • La cura nei confronti della scrittura è è cambiata rispetto ai primi anni in cui lavoravi? E il tuo è un mestiere femminile?

Annamaria, come sei arrivata a questo bellissimo mestiere?

Nei miei sogni di ragazza e studentessa c’era il lavoro di giornalista. Ho fatto lettere moderne e sognavo di scrivere. Poi, terminati gli studi, ho iniziato a scrivere, non su un giornale, ma bandi europei. Che ironia!  Utilizzavo i termini che adesso combatto: la fiera del niente. Dopo quell’esperienza sono passata in Isvor Fiat, anni ricchi di formazione e crescita, anni in cui ho compreso che la scrittura era un’altra cosa rispetto a ciò che avevo praticato. Mi occupavo, nell’area new media, di progettazione e stesura dei corsi che i dipendenti del gruppo avrebbero poi fruito su piattaforma. Avevo un’insegnante di filosofia che si era riconvertita come formatrice,  Giulia Bissaca, a cui devo tantissimo, che mi ha insegnato, a bottega, un mestiere: frasi corte, uso delle immagini, delle metafore. Terminata l’esperienza in Isvor ho seguito un master in web content managment e ho iniziato a collaborare con una società di Milano che si occupava di formazione, sulla semplificazione della scrittura. Lì è arrivata una nuova fase della vita in cui mi sono avvicinata a ciò che più amo: snodare la scrittura, spiegare che la semplificazione è utile, fondamentale. Ho lavorato tanto nelle pubbliche amministrazioni e in azienda. Terminato quel capitolo, cinque anni fa, una nuova avventura, come free lance. Di nuovo studio, approfondimento, con Alessandra Farabegoli e Gianluca Diegoli, sull’uso dei  social e sul web, e via verso nuovi clienti, piccole e grandi aziende, liberi professionisti. Insomma non mi annoio.

Le persone pensano che utilizzare termini altisonanti le renda più credibili e autoritarie. È così?

Sì, capita. Più spesso di quanto si pensi. Confondiamo autorevolezza con autoritarismo. Credo sia un fenomeno molto italiano. La nostra lingua offre la possibilità di straripare nella ricerca dell’ostico a tutti i costi. Eppure, quando si è autorevoli non servono paroloni per spiegare ciò che si sa. Anzi, l’obiettivo principale di un buon comunicatore è quello di vedere negli occhi di chi ascolta che ha compreso. È una grande dote l’essere divulgatori efficaci dei propri argomenti. Penso ad Amedeo Balbi, un astrofisico che sa rendere chiari temi assai complessi. Non per nulla viene spesso invitato nelle scuole, per parlare ai ragazzi, per affascinarli. Se in Italia si volessero davvero supportare le famose materie Stem (Science, Technology, Engineering e Math), a cui i nostri studenti si dedicano poco, bisognerebbe coinvolgere divulgatori come Amedeo Balbi, oppure  formare gli insegnanti, per renderli capaci di trasmettere la passione per la loro materia. Eppure c’è ancora poco l’idea dell’importanza della formazione per una comunicazione chiara, facile, che passi da un linguaggio semplice e facilmente comprendibile. Nella scuola, come nella pubblica amministrazione o nell’ambito medico. È indicativo, parlando di medicina, che un esame che risulta positivo venga descritto usando le parole “esito negativo”. Un modo di parlare che va contro il sentire e il comprendere delle persone. Scherzando dico sempre che quando andiamo dai medici, dagli avvocati, a parlare con persone a cui chiediamo consiglio su materie che non conosciamo, ci sentiamo un po’ come Renzo con i capponi in mano.

Eppure tu ami lavorare con la pubblica amministrazione?

Sì. Perché quando mi chiamano per fare formazione so che lavorerò con persone disposte a guardare avanti, che cercano di migliorarsi. Certo il mio è un lavoro da combattenti. Ho collaborato alcuni anni con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, a Roma. Mi sono trovata faccia a faccia con funzionari scettici e scontrosi riguardo alla formazione che stavo per offrire. Poi, quando hanno capito  la forza di ciò che insegnavo, il valore di una comunicazione semplice, hanno cambiato atteggiamento. E la soddisfazione è grande. Comunque mi sento sempre un po’ un’ evangelista quando parlo di questi temi. Eppure ci credo e per me è fondamentale convincere chi mi ascolta, far capire quanto la semplificazione della lingua sia utile e importante, in qualunque ambito.  Alla scuola Holden ho invece un pubblico di ragazzi. È meraviglioso. I giovani sono duri e puri. Con loro lavoro sui social: come utilizzarli per proporsi sul mondo del lavoro. Incontro ragazzi che escono al biennio di storytelling e dopo due anni passati dentro il magico mondo della Holden fanno fatica a ripensarsi fuori e utilizzare i social per dire ciò che sono e cosa sanno fare. Vogliono fare gli scrittori. Io spiego loro che per vivere con le parole, prima di diventare scrittori, bisogna saperle metterle a servizio di un’azienda, di un ente, di qualcuno che sia disposto a utilizzare e pagare la loro professionalità. Insomma, tante sfaccettature di un mestiere che vede sempre al centro le parole. Un lavoro che mi porta a studiare tanto.

Come nel caso del tuo ultimo libro?

Esatto. Quando lo scorso anno una banca mi ha chiesto di scrivere un manuale d’uso per la policy sulla chat, io ne sapevo poco o niente. Ho studiato, mi sono informata. Sono andata in giro per i call center, per capire come funzionavano, come rispondevano gli operatori, per sperimentare. Il risultato raggiunto è stato molto bello e ha dato poi il via al libro che uscirà a ottobre con Zanichelli. Devo dire grazie a Luisa Carrada, che dopo aver letto la mia guida ha deciso di proporla alla sua editor. Da lì è iniziata la trasformazione di una guida in un libro che spero potrà essere utile a tanti. Ma senza quell’esperienza non ci sarebbe stato il libro. Ecco, in questo caso il libro arriva alla fine di un percorso, non all’inizio. Come dico sovente ai miei studenti della Holden, per scrivere bisogna fare vita, esperienze, storie, vissuto. Certo è un lavoro faticoso, perché scrivere significa esporre una parte di te. Sempre.

 

Cosa ami di più del tuo lavoro?

Il momento che dedico alla scrittura è fondamentale. Quando scrivo testi per un sito, penso all’azienda di frutta secca biologica siciliana Damiano, che ormai è diventata parte di me, percepisco come sono riuscita a trovare il tono di voce giusto per quell’azienda e ne sono felice. Divento trasparente e riesco far uscire le parole dell’azienda attraverso di me, e le mie parole diventano le loro parole, perché raccontano il loro mondo, i loro prodotti, i loro sapori, profumi, colori. Ecco, allora sento di aver fatto un buon lavoro e sento di amare follemente ciò che faccio. E poi amo, quando faccio formazione, il momento in cui avviene la trasformazione. In aula vado sempre preparata. Quando sono in azienda scelgo i testi dell’azienda su cui lavorare, li riscrivo, e mi preparo a ricevere 10, 100, 1000 obiezioni. Perché spesso le persone sono conservative e vogliono difendere il proprio lavoro. Le obiezioni sono quasi sempre le stesse, e io sono preparata. Vertono su temi importanti: culturali, tecnici, di impianto aziendale; temi da cui si fa fatica a uscire. Insomma anche le obiezioni vanno considerate. Certo, se non si “educano” i vertici delle aziende al cambiamento, tutto diventa più lungo e faticoso.

La cura nei confronti della scrittura è è cambiata rispetto ai primi anni in cui lavoravi? E il tuo è un mestiere femminile?

Purtroppo no. Le cose non sono cambiate rispetto ai primi anni di lavoro. Quando entro in azienda, o nella pubblica amministrazione, nonostante le direttive, penso al manuale di Bassanini sulla scrittura amministrativa, mi accorgo che nulla è cambiato. Gli ostacoli sono gli stessi, i nodi sempre lì in agguato: scritture ingarbugliate e ostiche. In azienda come nella pubblica amministrazione. Ciò che è cambiato è l’uso che si fa della scrittura sui social. Lì gli strafalcioni sono esposti in bacheca, alla mercé di tutti. Certo più persone scrivono e questo penso sia comunque utile. I social ci hanno aiutato ad aumentare la visibilità della scrittura. Per quanto riguarda il mio mestiere sì, mi duole dirlo, ma è un tipicamente femminile, la cura è socialmente affidata alla donna, anche quella della lingua. E anche l’ascolto, il confronto, sono prerogativa delle donne. È indicativo che le due persone che da più tempo si occupano e lavorano su questi temi siamo io e Luisa Carrada. Lei da più tempo di me.

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Raffaella Ronchetta

Giornalista e consulente di comunicazione.

Aiuto le associazioni, le aziende, le persone a gestire la propria comunicazione e quella dei propri prodotti attraverso attività di ufficio stampa e digital pr, costruendo una strategia di comunicazione “su misura”.

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