Con Chiara ci siamo conosciute e incrociate su un gommone (suo), nell’azzurro mare della Corsica. E chiacchierando di vita, di viaggi e di passioni ho scoperto una persona con una carica di umanità e interessi non comuni.
Chiara Felmini è la donna delle immagini. Dopo una laurea in veterinaria e qualche anno nella cura di grossi e piccoli animali, ha deciso di dedicarsi alla diagnostica per immagini, prima veterinaria in Piemonte a occuparsi di ecografie.
Nel frattempo, con il passaggio della fotografia dall’analogico al digitale, ha iniziato a viaggiare per fotografare, animali prima, uomini poi. Vincendo diversi premi, pubblicata su importanti riviste come National Geographic. Chiara ha sempre la valigia in mano, e la macchina foto a tracolla, pronta per un altro viaggio, un’altra storia, un altro innamoramento.
Chiara, raccontaci dell’evoluzione del tuo lavoro
Appena laureata, dopo qualche anno passato in ambulatorio con gli animali, ho capito che il carico di aspettative che veniva dalle attese dei padroni non faceva al caso mio. E così ho virato. A pensarci adesso, nella vita non ho mai pianificato, le occasioni e gli stimoli sono arrivati e io li ho seguiti. Così per passione mi sono avvicinata alle ecografie. Ho seguito un veterinario a Milano che le faceva sugli animali, a Torino non c’era ancora nessuno. Ho studiato e osservato le ecografie sugli uomini, andando all’Ospedale Molinette e a Milano, dal collega, sugli animali, così ho imparato il mestiere. Dopo circa un anno ho acquistato il primo ecografo, era il 1992, e ho iniziato a girare come una trottola, per tutto il Piemonte. Ora le cose sono cambiate molto. Adesso lo specialista esiste, anche in ambito veterinario, all’epoca non c’era. I primi anni ho mantenuto l’attività in ambulatorio con una collega, facendo sia ambulatorio che ecografie.
Poi sei passata al mondo delle immagini
Sì, ciò che mi appassiona sono le immagini. Che siano quelle in bianco e nero delle ecografie, quelle degli animali, o quelle delle persone. È l’immagine che mi attrae e affascina. La passione per la fotografia è mia da sempre, per la prima comunione ho chiesto una macchina foto che conservo ancora adesso. L’interesse per la fotografia è cresciuto con il digitale e con la possibilità di lavorare nella post produzione. Quando ho ripreso in mano la macchina foto, una volta arrivato il digitale, ho iniziato a fotografare gli animali. Amavo il silenzio, la solitudine, gli spazi. Poi, durante un viaggio in India alla ricerca della tigre, sono stata catturata dalle persone. Fotografando gli animali ho imparato a capire i cacciatori e il fascino della cattura di una preda. Io catturo con le immagini. Ma la sensazione credo sia simile. Poi ho compreso che quella sensazione, se la provi fotografando le persone, diventa ancora più forte. Perché puoi interagire con chi fotografi, costruire una relazione, seppur fugace. Allora è tutto ancora più bello. E da lì è arrivato l’interesse per le persone, oltretutto le foto alle persone ti permettono di costruire veri racconti di viaggio.
I viaggi
Dopo due viaggi in India per fotografare gli animali sono partita per la Birmania, un’esperienza più soft rispetto ai viaggi che faccio ora, ma già nel solco di ciò che è arrivato dopo. In Birmania sono andata per trovare, nella valle del Chin, le ultime donne tatuate. Con i visi nascosti, fin dall’infanzia, da un reticolo di tatuaggi che le imbruttiscono, per nasconderle dalle attenzioni degli uomini delle altre tribù. Questa usanza, vietata da qualche anno, potrebbe essere reintrodotta dal governo, perché attira ovviamente molti turisti. Dopo la Birmania la Cina, la Cina rurale degli Miao, gli uomini con le enormi acconciature – copricapo, fatte di un misto di lana e capelli. Un viaggio incredibile, unico, in un mondo altro.
Come viaggi
I viaggi sono organizzati dall’Italia, ma una volta arrivati nel Paese da visitare e noleggiate le macchine, con un autista locale, tutto è una sorpresa. Viaggiando in luoghi lontani dai flussi turistici non ci sono strutture ricettive, dunque si dorme a casa delle persone, quando è possibile, oppure in tenda. Uno dei viaggi più belli che ho fatto è stato nello Zanskar, una regione autonoma dell’India del nord, incastrata e contesa fra il Pakistan e l’India. Una regione montagnosa, con pochissime persone e di difficile transito. Là sono passata su una delle strade che dicono fra le dieci più pericolose del mondo. Solitamente le persone sono estremamente accoglienti e ospitali, il poco che hanno, fosse solo una tazza di riso, la dividono con te. Ho imparato a viaggiare portandomi abiti in più, magliette, camice, calze; cose da lasciare. Nell’ultimo viaggio in Afghanistan ho lasciato alla guida capo il carica batterie solare. Un dono per lui preziosissimo. Me lo ha ripetuto più e più volte, che quand’anche avesse potuto comprarlo, e i soldi non credo li avesse, il posto più vicino per trovarlo sarebbe stato Dubai, luogo in cui non andrà mai, in tutta la vita.
Le persone si lasciano fotografare facilmente?
Spesso, ma non sempre. Nei paesi non musulmani è più semplice. Per fotografare bisogna sapere come fare, iniziare a giocare, avere uno scambio. Se non desiderano essere fotografati lascio stare. Molti vogliono fare un selfie con il mio cellulare, a loro basta quello. In Afghanistan un gruppo di donne con il burqa si è divertita a fare dei selfie con me. Una situazione divertente ma anche inquietante. La gioia di queste donne, tutte uguali sotto le grate dei loro abiti, che volevano foto con me, foto che non avrebbero mai rivisto e dalle quali io non avrei mai potuto vederle veramente. Dopo le foto è arrivato un uomo che le ha sgridate e loro se ne sono andate senza alzare la testa.
I doni dei viaggi
Tanti, tantissimi. La consapevolezza che i tuoi piccoli gesti possono fare la differenza. Ricordare, almeno per dieci giorni l’anno, il vero valore delle cose. Relativizzare i problemi, mettere in fila le priorità, e poi, il più grande di tutti, la capacità di accorgersi quando si è felici. La felicità del qui e ora. In Italia, a casa, non ho questa capacità, mi accorgo di essere stata felice qualche giorno dopo, magari ripensando a quel momento. Là, al gelo o al caldo asfissiante, in una tenda o in una capanna, sporca, stanca, capisco quando sono felice. Non so se è perché sono più felice o perché sono più consapevole.
Il viaggio più bello
Ciascuno a suo modo, ciascuno per qualche frammento, immagine, passaggio. O forse il prossimo che farò. L’ultimo, in Afghanistan, è stato sicuramente il più duro che abbia mai fatto. E mi sono detta, al ritorno, che non avrei mai più potuto fare un viaggio così faticoso. Poi, allontanandomi dal viaggio e dal ricordo vivo, ho capito che non è così. Potrei rifarlo. È stato magnifico, mi ha messo alla prova, fisicamente e psicologicamente, ed essere riuscita ad arrivare in fondo è stata una soddisfazione immensa. Abbiamo trovato la neve, la pioggia. Una notte non avevo nulla di asciutto da indossare e la sola cosa che ci scaldasse era un fuoco fatto di sterco.
Tanti i premi che hai ricevuto.
Sì, sono stata gratificata in maniera proporzionale agli sforzi che ho compiuto. Negli anni ho partecipato a diversi concorsi. Sono arrivata in finale per due anni per National Geographic, e per quattro volte una mia foto è stata scelta come foto migliore del mese, e due foto le hanno pubblicate sulla rivista cartacea.
Su un’altra rivista del settore anche sono stata pubblicata più volte. Ho ottenuto una menzione d’onore all’IPA International Photography Awards, un premio importante perché arriva in un concorso internazionale in cui partecipano 12 mila foto.
A luglio al PX3 Prix de la Photographie Paris di Parigi ho ricevuto un bel bronzo, mentre nel 2017 avevo ricevuto una menzione d’onore. Non nego che questi riconoscimenti sono importanti, almeno quanto i viaggi. I viaggi e le foto non sono mai separati. Se queste foto le avessi scattate senza viaggiare non avrebbero lo stesso significato, né lo stesso sapore. Ogni foto è una creatura, a cui sono legata quasi come a un figlio.
Il Festival della Fotografia Etica
Tutto il mese di ottobre sarò a Lodi per il Festival della Fotografia Etica, ho preparato un lavoro che si chiama Stigma – una vita in croce. Nella zona di Bhavnagar ( regione del Gujarat – India) ho avuto la possibilità di entrare in fabbriche dove grosse plance di ferro provenienti dalla demolizione delle navi vengono tagliate, fuse e trasformate nei tondini che si utilizzano nel cemento armato. Entrare in questi posti è stato un pugno allo stomaco. Non c’è un altro modo per esprimerlo. Si vedono delle vite in croce. Si è circondati da fuoco, croci e sudore. Nascere, crescere e morire senza possibilità di scampo, è una vita in croce, una condanna a cui uomini e bambini devono sottostare spesso da queste parti. La vita è stigmatizzata, fermata, intrappolata in una condizione inumana, per circa 1 dollaro al giorno, per tutti i giorni che arriveranno. E’ un luogo comune raccontare che questi uomini hanno sguardi pieni di dignità e sono disposti al sorriso, ma è la verità. E’ altrettanto vero che attraversando questo inferno non sono riuscita a togliermi dagli occhi il ricorrere di immagini a croce, come a ricordarmi il filo conduttore di queste esistenze. Scatto dopo scatto ho cercato di ritrarre gli uomini, i loro sguardi, la loro fatica, il loro sudore e la loro croce, perché qualcun altro possa vederli come li ho visti io: uomini con una vita in croce. A un certo punto, mentre scattavo, da sotto un macchinario che faceva un rumore terribile e in cui tre uomini infilavano le plance perché potessero essere tagliate, è uscito un bambino che stava accovacciato sotto la macchina, per raccogliere gli sfridi del taglio. Lì sotto poteva starci solo un bambino. Non l’ho fotografato.
Viaggi futuri
Un ritorno agli animali, in Alaska a fotografare le aquile che pescano gli ultimi salmoni prima che arrivi l’inverno, a Chilkat, un fiordo che risale lungo un fiume, andrò a fine novembre. E poi stiamo discutendo con gli amici e compagni di viaggio. Qualcuno vorrebbe tornare in Cina, a me piacerebbe invece andare all’Holi festival in India, almeno una volta nella vita mi piacerebbe vederlo, anche se è il caos totale e forse far foto là non è così facile. Altri vorrebbero unire al viaggio anche le palestre dei Kushti, quelle dove si allenano i lottatori indiani. Le idee non mancano e la voglia di partire nemmeno. È il mio modo per sentirmi viva: i viaggi, le foto e i nuovi progetti.
ermanno dice
non ho mai capito le persone che programmano viaggi in posti dove stanno più male di dove vivono abitualmente! Il bello ( non il lusso) mi affascina di più! Sarei pero’ curioso del capire il perché! le difficoltà, la sporcizia, il rischio di imprevisti salutistici , si trovano anche in italia….Vuoi lo spirito di avventura ? sai quante alternative …ricordo la mie ultime : tre giorni nel gran canyon , la sicilia nel mezzo ! il Quebec e le riserve indiane!
Raffaella dice
Sai, il mondo è bello perché abbiamo tutti passioni e modi di vivere differenti. Inoltre penso che i viaggi che sono una sfida, come nella vita tutto ciò che è una sfida, arricchiscano e regalino emozioni che esperienze più “facili” non regalino. Ma chiederemo a Chiara di rispondere ciò che pensa.
chiara dice
Sai Ermanno che anch’io non ho mai capito perchè la passione per i viaggi debba per forza dividere le persone ? Mi incuriosisce davvero capire perchè ci debbano sempre essere “squadre” contrapposte : da una parte chi cerca il bello in posti disagiati e dall’altra chi lo cerca in posti più agevoli; a me piaccio entrambi, adoro viaggiare e mi piace lo scambio di vedute. Lo spirito di avventura può esserci nel Gran Canyon e in Sicilia, quanto in Afghanistan o nella metro di Roma……. Spero che queste domande non nascondano una critica che, da viaggiatore quale intendo tu sia, mi sembrerebbe strana !
Mi auguro e ti auguro la possibilità futura di godere del viaggio , della curiosià e dell’avventura nei tempi e nei modi che più ci piaceranno, rendendoci sempre più ricchi di esperienze e di vita da condividere.