Filomena Pucci ha una testa sbarazzina di riccioli neri con qualche filo bianco, esile nel fisico e tenace nell’animo, ha lasciato il suo lavoro da autrice televisiva, per cui, lei stessa racconta “ho fatto alcune cose belle ma alcune anche no”, per incamminarsi in un percorso fatto di ricerca, crescita, fatica, felicità e piacere. Perché è fermamente convinta che “Quello che ti piace fare è ciò che sai fare meglio” , frase che dà il titolo al suo ultimo libro (Fabbri editori, 15 euro, pp. 192), che segue Appassionate, pubblicato nel 2014.
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Filomena, partiamo dall’inizio, perché hai lasciato un lavoro affascinante e creativo, da autrice televisiva?
Perché non ero felice. Non a causa di quel lavoro, anche se forse all’epoca pensavo fosse così, non ero felice in generale. Poi il lavoro in televisione non è tutto rosa e fiori, la televisione è volubile, si fanno cose belle e altre meno, e poi c’è una forte competitività, che io all’epoca facevo fatica a gestire. Così ho mollato pensando, ingenuamente, di vivere scrivendo romanzi, ne avevo due nel cassetto. Mi illudevo che sarei riuscita a pubblicare nel giro di un anno, pensavo davvero che avrei spaccato. Ovviamente non è stato così. Guardandomi oggi indietro capisco di aver agito con ingenuità, troppa, non vedevo le cose per quello che erano. Avevo un’idea del tempo che passava poco reale. Oggettivamente il rischio di continuare a essere infelice, senza riuscire a raggiungere il mio obiettivo, era concreta. Non volevo finire a 50 anni ancora ad aspettare il fidanzato figo che mi avrebbe cambiato la vita. E così ho preso in mano i pezzi della mia vita e mi sono incamminata, per poi scoprire che non era così poco ciò che avevo. Per scoprire che la passione che ci indicherà il cammino è dentro di noi.
Nel tuo ultimo libro Quello che ti piace fare è ciò che sai fare meglio, parli proprio di questo, e inviti i lettori a stilare una lista dei propri talenti.
Sì. Tante volte ci sottovalutiamo. Soprattutto noi donne. Non consideriamo l’immenso valore e la forza che sta in ciò che sappiamo fare e in ciò che già possediamo. Qualunque talento sia: se siamo capaci di ascoltare le persone, se abbiamo una grande casa con il giardino, se sappiamo curare le piante e farle crescere rigogliose, se sappiamo cucire. I talenti vanno visti e riconosciuti e fatti fruttare, con impegno, anche con fatica. Coltivare il proprio talento, la propria felicità, il proprio piacere, non è una cosa banale. Ci vuole tanto lavoro. Bisogna scegliere ogni giorno di stare nel piacere, di vivere nel proprio piacere. Come diceva Zygmunt Baumann nel Discorso sulla felicità: «Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi, senza dolori. La vita felice viene dal superamento delle difficoltà e delle sfide. Bisogna affrontare sfide, fare del proprio meglio, sforzarsi. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a risolvere le sfide poste dal fato».
Veniamo al tuo primo libro, Appassionate, realizzato grazie a un crowdfunding.
Un libro che racconta il tuo incontro con dieci donne, dieci professioniste che hanno fondato la propria impresa partendo da una loro passione. Un progetto importante e ambizioso che ha avuto fin da subito un buon riscontro, che ha superato le tue aspettative.
Sì, è proprio così. Le idee giuste non sono giuste perché geniali ma perché riassumono un sentire comune, un desiderare comune, un bisogno comune. Questo ha permesso al crowdfunding di avere successo, diventare virale, raggiungere tante e tante persone. Molti hanno condiviso l’intento di Appassionate, sentendolo un po’ come un proprio progetto, e questo è il motore di tutto ciò che è accaduto da lì in poi: da Appassionate, al sito, che continua a raccogliere storie di donne, a quest’ultimo libro fino agli speach che faccio in giro per l’Italia, in cui parlo proprio di questa condivisione di intenti.
Qual è la tua visione della vita e cosa insegni nei tuoi seminari?
Ciò che insegno è ciò che ho imparato: che bisogna scegliere ogni mattina di stare nel piacere. Ho imparato a vivere, a respirare, a fare le cose, ad agire. Prima ragionavo tanto, pensavo tanto, mi illudevo, proiettavo, e alla fine fuggivo, perdevo tempo. Ora faccio. E le giornate sono più belle. Quando ho creato il sito di Appassionate, i ragazzi con cui ho lavorato, italiani che vivono all’estero, che hanno collaborato probono, mi avevano chiesto una sorta di sottotitolo, e io avevo pensato “Appassionate. Per liberare tutte le donne dalla paura di esistere”. Poi questa frase mi è sembrata troppo pesante. Però ho capito che la donna da liberare sono io. Ecco, quando aiuto qualcuno a liberarsi, a trovare la propria strada, in realtà libero me stessa, dall’educazione ricevuta, dalle paure che mi porto sempre dietro, dalla vita fatta, dalle convenzioni, dai macigni del dovere.
La tua vita si è modificata radicalmente da quando hai fatto il grande salto, da quando hai lasciato il tuo lavoro, con grande fatica, ma anche con grandi soddisfazioni.
Si è stato così. E’ stato un percorso lungo, durato sette anni, un percorso profondo, non banale, a tratti faticoso, che mi ha insegnato fondamentalmente che se voglio cambiare qualcosa posso farlo. Se lo desidero, mi impegno, curo, coltivo quotidianamente il mio obiettivo di piacere, posso raggiungerlo. E non è un peccato spendersi, faticare, per raggiungere il proprio piacere. Viviamo in una società in cui il desiderio va messo in secondo piano, prima c’è il dovere e poi il piacere. Il piacere non è urgente, importante. Solo il dovere lo è. E invece ho imparato, perché l’ho vissuto sulla mia pelle, che se ci sintonizziamo su ciò che desideriamo, avverrà il miracolo. Non è un approccio fatalista il mio, ma realista. Non è stato un miracolo caduto dal cielo ciò che ho costruito. Lo dico sempre, coltivare il proprio piacere è come coltivare una pianta, ci vuole passione, impegno, amore, lentezza, perseveranza. Bisogna dialogare con il proprio piacere, cercarlo, abbracciarlo, scovarlo e farlo crescere. Il piacere sente, scalda. Un tempo avevo sempre freddo, ora non più.
E una volta trovato il tuo piacere, è arrivato anche il secondo libro?
Sì. Due anni fa ho lasciato la mia casa, in Piazza Vittorio a Roma. Una casa che mi costava tanto ma era il mio punto fermo. Era la mia tana, la mia sicurezza, ma anche il mio carcere. Ho chiuso casa, ho portato i mobili dai miei genitori e dopo 24 anni sono tornata a vivere con loro. Sono stati mesi fondamentali, per mettermi faccia a faccia con mia madre, e dire basta. Mi sono staccata. Da allora è stato un turbine. Ho iniziato mettendo tutto nero su bianco: ho fatto un file exel con i nomi delle persone, i lavori, le spese, i guadagni. Dovevo capire come giravano le cose. E le cose sembravano ancora difficili, io però ero sfinita. Eppure allora, solo allora, dopo anni di lavoro e fatica, qualche cosa è cambiato. Sembrava che l’universo aspettasse la mia decisione. Da lì a poco è arrivato un fidanzato, un bel lavoro, mi sono trasferita in Francia e ho ricevuto un contratto per il nuovo libro.
In questi anni tu ti sei raccontata con onestà e sincerità, ti sei messa in gioco, accettando anche, immagino, di essere giudicata. È stato faticoso?
In Appassionate c’è la storia di una donna , il cui capitolo si intitola Padronanza di sé e lei racconta che una volta che hai raggiunto il tuo punto oscuro, in fondo a te stessa, toccando le tue paure, le tue insicurezze, puoi tornare in superficie con una consapevolezza nuova. Allora sai chi sei e nulla ti può spaventare. Io ho parlato di me, ho raccontato chi sono perché ho pensato che le persone si sarebbero ritrovate in me. Mi sono studiata e narrata per sette anni, ero molto preparata. Ma non l’ho visttuto come una fatica. Ora basta. Sto scrivendo altro. Ora sto lavorando alla promozione del libro, alle presentazioni e ai workshop. E nei prossimi anni vorrei che Appassionate crescesse. E poi sto dando forma all’ultimo libro, che avevo scritto 17 anni fa e che sto rivedendo.
Le storie di Appassionate ti hanno trasformato, dato tanto? Qualcuna a cui ogni tanto pensi?
Credo profondamente nella legge dello specchio. Incontriamo persone che ci raccontano un pezzettino di noi. E quindi le dieci donne incrociate per Appassionate erano una sfaccettatura di me. Alcune mi hanno fatto forza, sebbene le percepissi come troppo forti. Altre mi hanno rivelato che dovevo aprirmi agli altri, all’empatia, all’affettuosità. Altre ancora mi hanno mostrato come la generosità e la sostenibilità possano andare a braccetto. Ho scelto queste storie con strategia, da autrice televisiva. Dieci settori diversi, dieci regioni , dieci caratteri, dieci tipi di famiglia. Volevo raccontare come queste donne d’azienda erano state capaci di portare nel lavoro un’innovazione che apparteneva al loro punto di vista. E questa era la forza della loro visione, del loro essere. Io credo fermamente, come ricorda Clarissa Pinkola in Donne che corrono con i lupi che siamo destinate a fiorire in terra. Il mondo ha urgente bisogno dei nostri fiori. Il mondo ha urgente bisogno della partecipazione delle donne. Per secoli ci hanno detto e fatto credere di essere importanti perché facevamo i figli. Bene. Siamo importanti per ciò che possiamo fare e cambiare, per la visione innovativa che possiamo portare nella nostra vita, nel nostro lavoro, nel rapporto con le persone che incontriamo ogni giorno.
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