Francesca Corradini, nata a Rapallo, cresciuta a Milano è arrivata a Torino, dove vive, per amore. Ha una massa di capelli ricci che porta raccolti dentro bellissimi tessuti, come per non apparire troppo. Bella e riservata, trasforma la materia in sogni, con una maestria che ammette con timidezza di possedere. Niente in lei è eccessivo, studiato, fuori luogo, così come il suo lavoro. Crea gioielli che sono pezzi unici, piccole sculture. Anelli che ricordano spirali d’acqua, bracciali forgiati da infinite minuscole rose, lunghe e sinuose collane, borse e pochettes dai tessuti unici. Utilizza materiali poveri: l’argento, il rame, l’ottone, il bronzo. Materiali semplici, come lei. Per le borse utilizza stoffe africane, canapa, lino, materiali trovati nei suoi viaggi in Asia e Africa, ma anche nei mercatini d’antiquariato. Prodotti che hanno una storia, un’anima, un soffio di vita. Tutto ciò che la ispira e la cattura. Niente è lasciato al caso. Niente è banale.

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Francesca, com’è nata la tua passione?
Ho fatto studi classici, ma sono cresciuta con una mamma antiquaria, in mezzo a mobili, oggetti e tessuti del passato, fin da bambina. Mia nonna invece mi ha insegnato a cucine, tagliare, fare la maglia. Tutti spunti e suggestioni che si sono sedimentate negli anni, senza che me ne accorgessi, facendo crescere quella passione che è poi diventata il mio lavoro. Offrendomi la possibilità di guardare oltre ciò che appare. Là dove gli altri vedono un ammasso di filo io vedo un monile che ricorda una nuvola. Là dove gli altri vedono una vecchia stoffa io vedo una piccola borsa da polso. Ho sempre adorato i negozi di ferramenta, i rigattieri. Ho iniziato a lavorare con piccoli manufatti creati con il filo di ferro. Mi piaceva lavorarlo, toccarlo, trasformarlo. Dare vita a un materiale inanimato. Poi, una notte, ho immaginato un bracciale. Ci ho lavorato, creando e disfando e alla fine l’ho realizzato e venduto. Da lì, poco per volta, grazie al passa parola, la mia produzione è aumentata. Certo è difficile trasformarla in un lavoro perché non seguo regole, raramente disegno una collezione o dei pezzi specifici. Tutto è frutto di ispirazione, quasi del caso. Può essere un prato di montagna, una cancellata, una nuvola, un fiore, una mostra. E poi negli anni sono arrivati i riconoscimenti e le clienti importanti: dalla principessa del Marocco Lalla Hasna alla pianista Katia Labèque, da Mariagrazia Cucinotta a Paola Saluzzi a Silvia Mezzanotte, voce dei Matia Bazar. Con al nascita dei miei gioielli più preziosi, i miei bambini, ho rallentato il lavoro. Senza però fermarmi mai. Creare è un desiderio forte, un’esigenza.
Che tecniche e che strumenti usi per realizzare i tuoi gioielli?
Lavoro da sempre i metalli esclusivamente con saldatura a freddo. Amo utilizzare utensili antichi da laboratorio ottocentesco: martelli, seghetti, cacciaviti, lime, punteruoli, pinze, tronchesini, forbici, carta vetrata e cuscini riempiti di sabbia del deserto. È affascinante e appassionante cercare il modo migliore per dare anima e vita, senza saldatura, al mio gioiello. Prima o poi, penso sempre, farò un corso per imparare a saldare. Chissà. Sono completamente autodidatta. Negli anni ho creato e disfatto, provato e riprovato e imparato cosa funziona e cosa non funziona. Talvolta mi sembra che sia il materiale stesso a indicarmi la strada migliore per la realizzazione di un gioiello. Ho in mente mille idee e mille progetti. Mi piacerebbe realizzare dei cappelli, altra mia grande passione. Per la mostra da #Internocortile per esempio, utilizzerò per la prima volta anche le pietre. Fino ad oggi, a meno che non fosse per lavori su commissione, utilizzavo solo i metalli. I materiali “poveri” che cambiano a seconda del clima, del tempo, del ph della pelle di chi li indossa. Panta rei, dicevano gli antichi, a me piace che i miei gioielli evolvano.
Quanto impieghi a realizzare un gioiello?
Dipende molto. Posso impiegare due giorni come due settimane. Solitamente lavoro la notte, il silenzio mi aiuta a trovare l’ispirazione. Ho lavorato anni per imparare ciò che so ora e nella tranquillità della notte trovo lo spazio per la creazione. Mi piace il momento in cui vedo la mia piccola scultura prendere vita. Un tempo facevo fatica a staccarmi dai gioielli, ora invece mi fa piacere che anche le altre persone apprezzino il mio lavoro. Mi fa piacere che li indossino, che collane, anelli, bracciali adornino le altre donne e possano donare un po’ di piacere. Lavoro sola, mi è capitato di insegnare, amo però la solitudine della creazione, è come se fra me e i gioielli ci fosse un dialogo silenzioso e segreto, che non saprei trasmettere.
Qual è il tuo gioiello preferito?

Sono molti, quelli che realizzo da più tempo, legati a ricordi, occasioni, eventi particolari. Se devo indicarne uno però scelgo la collana a lisca, la prima a maglia lunga che ho realizzato, è semplice eppure quando la indosso mi sento vestita. A pensarci bene interpreta ciò che vorrei i miei gioielli esprimessero. Un pezzo unico capace di vestire e far sentire unica ogni donna. Senza dimenticare che il punto di partenza è un filo semplicissimo. All’inizio del lavoro compravo il materiale dai ferramenta. Poi, a Milano, anni fa, ho conosciuto due fratelli che avevano un ingrosso di materiali da costruzione, mi rifornivo da loro, e quando hanno chiuso ho rilevato tantissime cose. Ora ho la cantina del laboratorio strapiena. La materia prima non mi manca. Le idee nemmeno.
Come immagini il tuo futuro?
Chissà. Ho due bambini a cui mi sono dedicata molto negli ultimi anni, rallentando la mia attività, ora loro crescono, hanno meno bisogno delle mie cure e sono molto fieri e affascinati dal mio lavoro. Quindi penso mi dedicherò alle mille nuove idee che ho in mente. Non solo gioielli ma anche piccoli ornamenti. Ai lavori su commissione che mi arrivano, per reinterpretare i gioielli o i desideri degli altri. Vorrei riprendere a viaggiare, dare ascolto alle idee improvvise che arrivano quando meno me lo aspetto e lasciare che la mia vita si intrecci sempre più con la mia creatività.
