FraParentesi. Il punto sei tu, non il tuo tumore.
Ecco il claim dell’associazione fondata da Daniela Abbatantuono e Cristina Agazzi, per aiutare e incoraggiare le donne, i loro familiari e amici a vivere meglio la parentesi tumore, considerando l’esperienza del cancro come una parte della quotidianità, una parentesi, e non come l’unico aspetto che conta quando si vive la malattia.
Daniela Abbatantuono è un fiume in piena, quando parla del suo progetto, nato sei anni fa, un progetto come dice lei “di cuore e di pancia”
Cosa trovi nell'articolo
Da dove nasce l’idea
FraParentesi nasce nel 2014, ero appena rientrata a Milano, dopo alcuni anni trascorsi a Bologna e Cristina, l’altra fondatrice, socia e amica, si era presa un anno sabbatico. Desideravamo creare qualcosa per le donne, uno strumento capace di supportarle in un momento di cambiamento e ricostruzione della quotidianità. Che era un po’ quello che stavo vivendo io. Rientrata a Milano avevo preso casa in un quartiere a me sconosciuto, e tutto mi sembrava difficile e faticoso. Cristina di contro conviveva da anni con un tumore, la prima diagnosi a 29 anni, ora ne ha 50.
Così, con il passare del tempo e delle riflessioni, proprio perché Cristina era paziente oncologia, abbiamo spostato il focus del progetto sulla malattia, scegliendo di creare una piattaforma digitale capillare, per raggiungere più persone possibile e offrire informazioni giuste, selezionate e dettagliate.
Aiuti concreti, una visione diversa della vita, capace di guardare oltre, pur nelle difficoltà. Cristina è la dimostrazione che il tumore è una parentesi della sua quotidianità. Non è la sua quotidianità.
Il digitale era sicuramente lo strumento migliore per fare rete, fra i malati, le famiglie, gli amici – i cosiddetti caregiver – i medici, le altre associazioni.
Perché il tumore è democratico mentre l’informazione spesso non lo è. Ci sono persone che faticano a trovare informazioni giuste e dettagliate.
La ricerca e lo studio iniziali
Sia io che Cristina venivamo dal mondo della comunicazione e del marketing e avevamo ben chiaro l’obiettivo. Le cose andavano fatte bene, nulla lasciato al caso.
Abbiamo iniziato facendo molta ricerca, per capire cosa esistesse già, in Italia ma anche all’estero. Attraverso una survey rivolta a 300 persone fra pazienti e caregiver abbiamo misurato le esigenze e le necessità. E da lì siamo partite. Mettendo le persone al centro.
Ci siamo accorte fin da subito che non esisteva in Italia un sito costruito come lo volevamo noi. Capace di indirizzare il paziente o la sua famiglia a seconda delle necessità, a seconda del momento che si sta vivendo, delle difficoltà da affrontare. Una persona che vive la diagnosi ha esigenze informative differenti rispetto a chi è in terapia. Un parente che cerca un supporto per sé non ha le necessità di un malato.
Filippa Lagerback ci ha supportato fin dall’inizio, realizzando il video lancio e nel maggio 2019 prestandosi per quello sulla sarcopenia: la perdita di muscoli nei pazienti oncologici. Un aiuto preziosissimo il suo; continua a seguirci e aiutarci e per noi è un testimonial preziosissimo, cerchiamo di non abusare della sua generosità.
Le diverse sezioni del sito
Abbiamo deciso di strutturare il sito come una mappa su cui navigare con facilità, a seconda di ciò che si cerca.
In diagnosi, in terapia, in follow up, una sezione dedicata ai familiari e agli amici e le diverse parentesi: l’alimentazione, i diritti, l’accompagnamento psicologico, il benessere, gli aspetti medici, la cura dell’immagine.
Sembrano poche cose ma quando stai vivendo un periodo di fragilità e arrivi su un sito che ti deve supportare è importantissimo trovare subito ciò che si cerca e non perdere tempo in sezioni che non interessano, o che, peggio ancora, potrebbero causare sofferenza o ansia. Avevamo ben chiari i nostri obiettivi: Cristina perché li vive in prima persona, io perché ho vissuto la malattia del mio papà, che mi ha portato sofferenza, dubbi, angosce, incapacità di capire le scelte, difficoltà a comunicare, con il mio papà ma anche con i medici. Insomma, un mare di sentimenti che mi hanno avvolto, annullando tutto ciò che c’era attorno a me.
Sembrano poche cose ma quando stai vivendo un periodo di fragilità e arrivi su un sito che ti deve supportare è importantissimo trovare subito ciò che cerchi e non perdere tempo in sezioni che non ti interessano, o che, peggio ancora, potrebbero causarti sofferenza o ansia.
Il linguaggio, la comunicazione e l’empatia
Proprio per questo abbiamo lavorato moltissimo sul linguaggio e sulla comunicazione, sulla scelta delle parole. A partire dal nome del progetto: niente parole negative, tristi, aggressive. FraParentesi descrive bene ciò che facciamo e scegliamo di fare ogni giorno, mettere fra parentesi il tumore. Quando si parla di malattia troppo spesso si utilizzano termini negativi, aggressivi. Pensiamo all’espressione “combattere il tumore”. Non si combatte, la malattia è parte di chi la vive, purtroppo. Combatterla significa combattere contro sé stessi. La malattia è una delle parentesi della quotidianità, ce ne sono tante e diverse, noi desideriamo che FraParentesi possa essere un supporto in questa parentesi di fatica e sofferenza.
Lavoriamo ogni giorno per una comunicazione empatica e costruttiva, pur nella serietà dei temi e degli argomenti trattati. Per questo abbiamo pensato a una rubrica che fosse un dialogo con le persone, un dialogo fra chi ha vissuto il tumore e chi lo sta vivendo. Una comunicazione aperta.
La mia parentesi tumore
Da questa idea è nata la rubrica La mia parentesi tumore, dedicata a chi è malato di tumore o a chi ha provato quest’esperienza come caregiver. Ci arrivano diverse storie: talvolta in maniera spontanea, direttamente dalle persone, altre volte ci vengono segnalate da medici, psicologi, oncologi. Una psicologa del Besta ci ha chiesto di raccontare quella di Angelo e della sua cordata.
C’è stato il caso di una donna spagnola, Noelia, conosciuta in rete, che in seguito a una mastectomia ha dato vita ad Anna Bonny (non a caso, il nome di una piratessa): una linea di lingerie pensata per le donne che hanno perso un seno ma non vogliono rinunciare a sentirsi sexy (in Spagna il SSN non passa la chirurgia ricostruttiva e molte donne non possono o scelgono di non ricostruire il seno). Questa lingerie copre la cicatrice e lascia scoperto il seno sano, così anche nell’intimità o al mare si può non rinunciare alla propria femminilità o al topless.
L’ultima storia, raccontata nei selezionati per te, è quella di Anna e del suo Linfedema, su cui ha scritto un libro.
A breve la storia di Francesca, una chef, che dopo un tumore al seno ha dato vita a Cibo Supersonico un bellissimo progetto sull’alimentazione. Anche qui la scelta è stata non di parlare della malattia, ma di quello che la malattia ha portato.
La malattia è di tutti quelli che la vivono, la differenza la fanno le persone, per quello che sono, per come vivono, per le piccole strategie che mettono in campo, per le scoperte che fanno. Le storie di FraParentesi sono storie per gli altri, non sulla malattia.
L’associazione
I primi due anni abbiamo lavorato e investito tantissimo su FraParentesi, sia io che Cristina. Poi abbiamo dovuto trovare un lavoro stipendiato, ad oggi l’associazione non ci permette di tirare fuori due stipendi, continuiamo a dedicarle molto del nostro tempo libero.
Dopo due anni FraParentesi è diventata un’associazione di promozione sociale, ora collaboriamo con diverse associazioni, siamo dentro l’Istituto dei Tumori di Milano grazie al progetto realizzato con la Gotita Onlus rivolto alle adolescenti Make me Up.
Stiamo poi creando un bellissimo lavoro sulla nutrizione, che spero uscirà entro l’anno e abbiamo trovato un’azienda che lo sponsorizza. Sarà uno strumento di autovalutazione della condizione nutrizionale, il cibo e l’alimentazione sono aspetti importantissimi per i pazienti oncologici.
Lo scorso anno un’assicurazione inglese che lavora B2B con associazioni di categoria chi ha chiesto di supportarli nello sviluppo di una newsletter di approfondimento su temi di prevenzione oncologica.
Insomma, i progetti e le sinergie sono tante, il lavoro non ci manca e non si ferma.
Come vi sostenete?
Ci sosteniamo con le donazioni, grazie alle persone che si associano. Nel tempo ho capito che le persone sono molto abituate a prendere e poco a dare. Questo per dire che le donazioni sono poche, rispetto al lavoro che facciamo. Abbiamo oggi fra i 50 e i 60 mila utenti al mese, e il 25 per cento delle persone tornano per vedere se ci sono nuovi contenuti; quindi immagino siano persone che trovano un supporto. Se quel 25 per cento ci desse un euro l’anno potremmo sostenerci.
Questo per dire che le donazioni sono poche, rispetto al lavoro che facciamo. Abbiamo oggi fra i 50 e i 60 mila utenti al mese, e il 25 per cento delle persone tornano per vedere se ci sono nuovi contenuti; quindi immagino siano persone che trovano un supporto. Se quel 25 per cento ci desse un euro l’anno potremmo sostenerci.
Questo non succede, le persone difficilmente si associano. Chi ci conosce personalmente sceglie di sostenerci. Donatori spontanei pochi. Chi vive la malattia sente di essere in un momento in cui sta già pagando.
Per fortuna abbiamo degli ambassador, mi piace chiamarli così: un’insegnante di yoga, Elisabetta Bagnato di Yogan’roll, che ogni tre o quattro mesi organizza delle challenge regalando il suo tempo per fare meditazioni gratuite a fronte di una donazione di almeno 5 euro o a un povero per strada o alla nostra associazione. E come lei un’altra insegnante di yoga, Roberta Calizzi, per Natale ha organizzato una serata di raccolta fondi donando due ore di lezione.
La cosa più importante per me restano comunque i ringraziamenti delle persone che incrociano FraParentesi e che ci fanno capire quanto sia importante il lavoro che portiamo avanti ogni giorno. Tutto trova un senso: gli sforzi, le fatiche, le frustrazioni.
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