Quasi due anni fa aprivo il mio sito con un’intervista speciale “Una nessuna e centomila: Gaia Bussolati fra pixel, color correction ed effetti visivi”. Ora, con Francesco Grisi, collega di Gaia in EDI Effetti Digitali Italiani, società italiana di effetti visivi, torno a parlare di cinema, effetti visivi ed effetti speciali, di talento e futuro. L’occasione è l’uscita de Il Primo Re di Matteo Rovere di cui Grisi, con Gaia Bussolati, è stato supervisore per gli effetti.
Ultima creazione del prolifico regista e produttore, Il Primo Re racconta le vicissitudini che Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi), devono affrontare per superare il Tevere e arrivare alla terra che sarà la culla di Roma.
La potenza visiva di questo film è supportata da una quantità di effetti raramente visto in un film italiano. Una sapiente miscela di regia, effetti speciali sul set, make up ed effetti visivi digitali, che hanno permesso di raccontare questa storia con un linguaggio narrativo crudo, epico e violento, estremamente realista, a tratti quasi animalesco.
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Francesco, perché non si è mai visto in un film italiano una potenza visiva così intensa?
Solitamente nei film italiani si cerca di contenere la componente visiva, che viene spesso considerata un lusso, per evidenti motivi di budget. Si antepone la storia all’immagine, a discapito di tutto ciò che viene considerato superfluo, a cominciare dagli effetti. Matteo ha invece voluto preservare il lato visivo del film, per lui imprescindibile. Per questo ci ha contattato: aveva bisogno di aiuto per potenziare un film già forte sulla carta.
Gli attori sono stati ripresi in una piscina costruita per l’occasione dallo scenografo Tonino Zera negli studi di Videa a Roma, in acqua a temperatura controllata e mossa da decine di pompe, per simulare la corrente del fiume. Anche le scene subacquee hanno richiesto vari interventi di VFX, per sporcare l’acqua con l’aggiunta di detriti e oggetti che, trascinati dalla corrente, colpivano gli attori.
Spiegaci meglio, cosa sono gli interventi VTX? E come avete gestito il lavoro su questo film?
VFX è l’acronimo inglese di Visual FX dove FX è la contrazione di effects. La traduzione corretta è effetti visivi. Noi facciamo VFX ossia effetti visivi. I VFX si distinguono dagli SFX o Special FX, perché i primi si realizzano dopo le riprese, dal montaggio in poi, mentre i secondi si creano durante le riprese, sul set. Per capirci, le esplosioni e le fiamme sono Special FX , mentre una dissolvenza o Godzilla in 3D che distrugge un palazzo 3D sono Visual FX. La realizzazione di questo film ha richiesto l’impiego di moltissime risorse, per circa un anno.
Abbiamo lavorato spesso su film americani che hanno richiesto simili spiegamenti di forze, ma in Italia è un caso tanto raro quanto felice. Grazie a registi illuminati come Matteo Rovere, la cinematografia italiana sta riacquisendo la forza e l’importanza che ha sempre avuto nel passato e che ultimamente sembrava aver perso. L’uso degli effetti visivi a sottolineare la forza della storia è stato sapientemente utilizzato per arricchire il film e confezionare un prodotto che non ha nulla da invidiare a una grossa produzione americana. Finalmente abbiamo avuto l’occasione di mostrare al mondo intero che anche in Italia sappiamo realizzare film grandiosi.
Come utilizzano gli americani gli effetti visivi?
Sono tre i motivi per cui si utilizzano gli effetti: perché costa troppo girare, perché risulta troppo pericoloso girare, o, più semplicemente, perché non si può fare altrimenti. Gli americani li utilizzano per questi tre motivi , come gli altri paesi del mondo. Ciascun paese secondo la propria mentalità e le proprie risorse. Se un americano deve girare una scena di 15 minuti con 2 attori su un battello piazzato nel mezzo del Rio delle Amazzoni si fa due conti e capisce che portare gli attori in mezzo all’Amazzonia è pericoloso, trasportare tutta la troupe è un costo importante, quindi risolve girando con gli attori sulla barca in un teatro e ricostruendo l’ambiente circostante in VFX. A conti fatti risparmia, elimina il rischio e tiene tutto sotto controllo.
Italia vs America
Lo stessa scena in Italia verrebbe gestita in modo molto diverso: chiedendo allo sceneggiatore di eliminarla, o, se si trattase di una scena fondamentale, di ambientarla su una barca senza sfondo, così da poterla girare anche sul Tevere con un teleobiettivo, che lascerebbe poco o nulla alle inquadrature sullo sfondo. E se proprio si dovesse ricorrere agli effetti, si cercherebbe di minimizzare l’intervento. Potremmo riassumere tutto questo con due frasi. L’America: “We do what is needed” contro l’Italia: “Facciamo solo quello che è strettamente necessario” .
Il film è pieno di combattimenti: uccisioni, accoltellamenti, percussioni con mazze ferrate e asce. Le armi erano “finte” e le ferite pure?
Beh si, le ammiratrici di Alessandro Borghi non ci avrebbero mai perdonato di accoltellarlo e ferirlo, abbiamo dovuto fare di necessità virtù! È stato un sapiente mix di effetti speciali tradizionali e VFX, che ha permesso di realizzare armi di vario genere, pugnali, spade, asce, mazze ferrate e frecce, che hanno virtualmente colpito gli attori. Abbiamo instaurato uno splendido rapporto con Andrea Leanza, che realizzava tutte le ferite con il trucco, poi grazie ai VFX le abbiamo fatte apparire in concomitanza con il movimento delle armi di scena, trapassando gli attori e facendo colare diversi litri di sangue.
Quante persone hanno lavorato in EDI al film? Fra italiani e stranieri?
La realizzazione di questo film ha richiesto l’impiego di moltissime risorse, per circa un anno.
Abbiamo lavorato spesso su film americani che hanno richiesto simili spiegamenti di forze, ma in Italia è un caso tanto raro quanto felice. Abbiamo coordinato tutti i lavori di VFX che abbiamo diviso tra la nostra azienda (EDI) e una nostra partner Belga (Digital District), con cui collaboriamo spesso e che conosco da quando lavoravo in Francia negli anni Novanta. Loro hanno realizzato la spettacolare sequenza dell’esondazione dell’ inizio del film, mentre noi abbiamo realizzato il resto.
È stata un’esperienza unica, per due motivi: perché siamo riusciti finalmente a lavorare con Matteo, che inseguivamo da tempo. Poi perché, per la prima volta, abbiamo messo in piedi una collaborazione internazionale. Il lavoro su Il Primo Re apre mille possibili scenari di collaborazioni future sia per il cinema che per le serie televisive. Inoltre, vedere come la nuova generazione di registi usa sapientemente i nuovi strumenti, spingendoli al massimo e investendo su professionalità tutte italiane e abbandonando l’esterofilia che ha contraddistinto il nostro paese negli ultimi anni, è incredibile. Noi lavoriamo regolarmente con gli americani, collaborando alla realizzazione di tanti prodotti degli Studios come 20th Century Fox, Sony, Netflix, Amazon, ma alcuni registi italiani ancora vanno all’estero perché non credono nel Made in Italy.
Diciotto anni di lavoro non sono pochi. Quando avete iniziato l’estero era più avanti? Visto dai giorni nostri, verrebbe da dire, perché avete iniziato in Italia e non in Belgio o in Francia?
L’Italia innanzi tutto è casa nostra. Diciotto anni fa, io e Pasquale Croce (il mio socio in EDI) avevamo passato otto anni lavorando in Francia, UK e USA. Erano sicuramente i Paesi all’avanguardia, in questo mestiere. Abbiamo imparato tantissimo e partecipato a progetti straordinari come Fight Club di David Fincher o Batman e Robin di Joel Schumacher. Poi, arrivato il momento di mettere su famiglia, abbiamo deciso di tornare a casa e portare con noi ciò che avevamo imparato. Un’ esperienza all’estero la consiglio a chiunque, è importantissimo capire com’è il mondo, cosa vuol dire pensare in un altro modo, sapere che ci sono modi diversi di vivere e lavorare. Vivere all’estero ti apre la testa e ti fa capire che siamo gli unici artefici del nostro destino. Se da qualche parte del mondo c’è qualcuno che è riuscito a fare qualcosa, perché non dovresti riuscirci anche tu?
Cosa offre l’Italia, e quindi voi, come professionisti, rispetto ai colleghi stranieri. Trovate la strada anche quando altri buttano lo spugna?
Inutile negare, il ritorno in Italia non è stato facile come speravamo o ingenuamente credevamo, con un po’ di presunzione, dall’alto dei nostri otto anni all’estero. Ci siamo scontrati con la mentalità italiana. In Italia bisogna riuscire a fare tutto con un decimo del budget e in metà tempo. Però l’Italia è anche la terra dell’arte e della bellezza. Noi italiani abbiamo una cultura visiva inconscia, che spesso sottovalutiamo. Da questo mix esplosivo di gusto altissimo e mezzi e tempi cortissimi nasce il metodo italiano, che abbiamo metabolizzato dopo qualche anno, ma che adesso ci permette di arrivare a risultati elevati, con tempi e costi contenuti. Possiamo chiamarla capacità di sbrogliarsela, creatività, disperazione. Forse è l’unione del tutto. Fatto sta che se prima gli americani la facevano da padroni nel nostro campo, ora che vivono un periodo di crisi, guardano all’Italia come modello di lavoro.
Cosa conta di più in questo lavoro? L’occhio, la tecnica, il talento, le macchine, l’esperienza, l’arte?
Tutto. Bisogna studiare con attenzione la realtà, ciò che ci circonda, ciò che brilla, riflette la luce, proietta le ombre. La meravigliosa realtà che è tutti i giorni intorno a noi è quello che noi dobbiamo riprodurre ogni giorno. Detto così sembra facile. Eppure non siamo abituati a guardare le cose veramente, le sfioriamo con lo sguardo, le attraversiamo, non le guardiamo. Per fare questo mestiere bisogna guardare veramente e poi provare a riprodurre. Luci, ombre, movimenti, onde e nubi, bianchi e neri. Facciamo il lavoro più bello del mondo. Certo non salviamo vite, regaliamo sogni o meglio, aiutiamo a raccontarli, a metterli in immagini. Ogni volta è una sfida diversa, ogni volta dobbiamo inventare qualcosa partendo da zero. E lo facciamo con persone fantastiche, piene di idee, visioni, mondi da raccontare.
Certo non salviamo vite, regaliamo sogni o meglio, aiutiamo a raccontarli, a metterli in immagini. Ogni volta è una sfida diversa, ogni volta dobbiamo inventare qualcosa partendo da zero. E lo facciamo con persone fantastiche, piene di idee, visioni, mondi da raccontare.
A un ragazzo che voglia iniziare il vostro mestiere cosa consiglieresti?
Di appassionarsi a ogni forma d’arte: cinema, fotografia, pittura, scultura, qualsiasi cosa. In fin dei conti il nostro mestiere le racchiude tutte. Imparare i software è relativamente facile, quello che risulta più difficile è allenare l’occhio e il gusto. E noi italiani siamo avanti rispetto al resto del mondo. Consiglio di essere curiosi e non tirarsi mai indietro. Non smettete mai di migliorare quello che si fa. In Italia ci sono poche scuole, e nessuna forma completamente. Sono scuole private che insegnano software senza tenere conto dell’approccio artistico. All’estero ci sono scuole molto complete, che in tre anni ti formano a 360 gradi, poi ti specializzi. Se dovessi partire adesso seguirei una di quelle. Noi stiamo aprendo una scuola di specializzazione, teniamo master su diversi software, la scuola sarà indirizzata a chi ha già un background artistico. Contattiamo i migliori formatori mondiali e li invitiamo a tenere tre master di due settimane, e formiamo dodici persone selezionate ai più alti standard in una specifica disciplina. Speriamo così di alzare ulteriormente l’asticella sul nostro lavoro, qui in Italia.
Sogni e progetti per il futuro. Con Il Primo Re avete già raggiunto il top?
Il top non si raggiunge mai, bisogna mettere l’asticella un pò più in alto, giorno dopo giorno, lavoro dopo lavoro, questo è meraviglioso ed esasperante. Non possiamo mai rilassarci e non ci annoiamo mai.
Per il futuro stiamo seguendo progetti diversi e stimolanti. Stiamo lavorando sul prossimo film di Gabriele Mainetti, che sarà un concentrato visivo esplosivo di effetti; su quello di Gabriele Salvatores, che segna un ritorno alla narrativa classica del regista, e poi sul film di Gabriele Muccino, che vuole utilizzare gli effetti visivi per spingere al massimo gli effetti di trucco del set. Poi la serie del commissario Ricciardi con Alessandro D’Alatri, ambientata in una Napoli degli anni Trenta; un film con Christian De Sica che combatte i fantasmi a Napoli, un Pulp western di Giovanni La Parola. E ancora, il nuovo film di Cristina Comencini, ambientato in due epoche diverse. Stiamo curando una parte degli effetti della serie americana Cosmos, la campagna pubblicitaria Edison, che vedrà un insolito testimonial dietro al quale ci siamo noi. Insomma, non ci annoiamo. E in un futuro un po’ più lontano vorremmo cominciare a produrre i nostri film. Film ad alto contenuto di effetti e dal forte impatto visivo. Per il momento abbiamo in programma tre progetti: un thriller paranormale e due film di fantascienza distopica.
Speriamo nel futuro di affermarci sempre più come realtà di riferimento in Italia per progetti nazionali ed internazionali. Sviluppare talenti locali da esportare, non lasciandoli fuggire ma esportando le capacità tutte italiane. Quelle di guardare e creare, il bello.