Difficile incasellare Nicoletta Carbotti, architetta, designer, blogger, appassionata di interior design, ha una capacità di racconto che dal particolare arriva all’universale.
Un assaggio sul suo profilo Instagram la_nico_c
Ci siamo incontrate in un bar di San Salvario, il quartiere pulsante in cui vive, un luogo che si ama o si odia (per la movida notturna), in cui si trova il suo studio Fattore Q – fabbrica e la sua casa.
Nicoletta nel raccontarsi ha un’energia che accarezza, ti porta nel suo mondo fatto di equilibrio nell’imperfezione, di rispetto e cura, di attenzione alle case e alle persone.

Cosa è per te l’architettura?
Una disciplina in cui si manifesta la bellezza: bellezza di chi la vive e di chi la realizza. Richiede una grande sensibilità, l’architettura deve creare armonia ed equilibrio.
Certo ha regole e paletti, è anche un’espressione della società, del tempo che passa, della moda. Racconta molto dell’uomo e della vita. I segni della città, delle case, dei palazzi, raccontano tanto a chi li sa leggere.
Occuparsi di architettura significa studiare sempre, capire, avere intuizioni, restituire agli spazi, alle case, ai luoghi, la loro autenticità. Capita che quell’autenticità abbia anche un briciolo di imperfezione, è giusto così.
Lo dico spesso ai miei clienti, è l’imperfezione che rende unica la vostra casa.
Perché hai studiato architettura?
Da ragazzina ero affascinata dalle architetture più strane, dalla forza della creatività applicata all’architettura. Quando ho iniziato l’università, rientrata a Torino dalla Puglia, ero concentrata su quello che pensavo fosse il ruolo dell’architetto: disegnare la città con grandi opere.
Poi, poco per volta, ho scoperto che le soddisfazioni più grandi mi arrivavano dallo studio degli interni. Accompagnare il cliente nello svelamento di quella che sarà la sua casa, capire la richiesta, guidarla, interpretarla, questo mi piace.
Penso che ogni casa abbia una voce e il mio ruolo spesso è quello di farla ascoltare ai miei clienti.
Ora la professione è cambiata molto, bisogna rimanere sempre aggiornati, si impara ogni giorno, è bello e arricchente.
A proposito di aggiornamento, il tuo profilo Instagram è ormai diventato per te un lavoro?
Più che lavoro direi che si tratta di una vetrina e di un’opportunità. Grazie a @Ig ho raggiunto clienti in tutta Italia: da Lecco a Venezia, da Ostia a Roma. Con la pandemia abbiamo scoperto che è possibile lavorare anche a distanza, cosa che forse un tempo non avremmo mai immaginato di poter fare.
Oltre a questo, sono arrivate belle collaborazioni, come quella con CasaFacile o con aziende del settore. Insomma, una bella sfida.
Scrivere il blog è un’altra piccola fetta del lavoro, mi piace molto, certo ci vuole tempo, e cura.
Cosa ti colpisce quando entri in una casa?
Quando accompagno un cliente che sta cercando una casa da comprare mi concentro innanzitutto su ciò che non si può cambiare: la luce e l’esposizione, gli aspetti tecnici e i paletti strutturali che si modificano con più difficoltà.
Poi guardo le potenzialità e quello che di bello c’è in una casa: le porte, i pavimenti, gli affreschi, le prospettive, i cannocchiali ottici.
Quello della prospettiva è un tema che mi sta molto a cuore, fa molto più una prospettiva ben studiata che una distribuzione cervellotica. Mi piace, quando entro in una casa, percepire la profondità: una casa di cui si percepisce lo sviluppo nello spazio sembra subito più grande
Amo le case d’angolo, in cui si ha l’effetto di una circolazione diversa, rispetto alla classica distribuzione data dal disimpegno da cui partono tutte le stanze.
In questo momento storico valgono più le mode o i gusti personali? C’è un’omologazione nell’arredo?
Viviamo immersi e siamo vittime della cultura dell’immagine, e così spesso molti si innamorano e concentrano sulle “case Pinterest”. Pinterest è un abaco di episodi, racconti, particolari e dettagli, e le persone collezionano tantissimi di questi dettagli e chiedono di applicarli tutti insieme nelle proprie case.
Senza un pensiero critico alla base delle scelte.
Spesso arrivano potenziali clienti che chiedono di perseguire stili codificati: nordico, classico contemporaneo, minimalista; chiedono una casa fatta seguendo questo o quello stile. Difficilmente così l’interpretazione del progetto segue la filologia del contesto: che casa si abita, a che epoca appartiene, che pianta e che esposizione ha.
A me resta il tentativo di spiegare che le case dovrebbero anche rispettare la propria storia e vocazione: in una casa degli anni Settanta perché simulare l’estetica di una casa dei primi del Novecento e viceversa? È un peccato annullare una casa di fine Ottocento per creare uno spazio totalmente minimalista, o profondamente algido. Il risultato? Un ambiente fuori contesto.
Eppure le persone tendono a seguire le mode, ora va di gran moda il “classico contemporaneo”. Uno stile vero? Una sorta di mix estetico di ricostruzione, in bilico tra presente e passato, in gran voga su moltissimi cataloghi e che inevitabilmente produce case molto simili tra loro, che io non amo particolarmente. Come dicono quelli bravi, la casa deve assomigliare a chi la abita, non deve essere una “casa catalogo” creata acquistando mobili tutti nello stesso luogo, piuttosto un album di ricordi e di propositi. La casa è bella perché unica, personale, anche anomala, imperfetta.

Recentemente ho fatto una casa che ricalca questa logica, per Alba, l’ho raccontata qui. Alba ha traslocato un’intera casa siciliana a Torino e assieme abbiamo studiato e scelto dove mettere ciascun pezzo. Nulla è stato lasciato al caso.
Certo a seconda dei clienti che si hanno, si diventa un architetto diverso; vero è che anche con budget contenuti si possono fare cose belle. La sfida è più importante e alle volte vince l’idea.
Come è la tua casa dei sogni?
La casa dei sogni è torinese, Torino è una città che amo immensamente.
Mi piacciono le case d’epoca, magari d’angolo, con le porte e i pavimenti di un tempo. La casa dei miei sogni dovrebbe avere anche un terrazzo. Complice la pandemia sento forte il bisogno di cura delle piante, di uno spazio esterno in cui dedicarmi al verde.
Per ora è ancora una casa in città, sono in una fase della vita in cui amo stare in città, nell’energia e nel caos cittadino.
L’edificio di Torino che più ami?
L’interno torinese che amo maggiormente è quello del Teatro Regio, la “bocca della balena” (come dico ogni volta che ci entro) la follia più bella tra quelle disegnate da Mollino; un’esplosione di luce, di rosso e di viola. Direi che Mollino in generale m’innamora ogni volta e in ogni contesto; mi affascinano i suoi mobili, la sua casa museo, le architetture montane.
Invece l’edificio più scenografico è la massima espressione del liberty torinese, Casa La Fleur: una di quelle costruzioni che, quando ci sei sotto, ti sembra sempre di essere in un sogno.
Rappresentano tutte e due soluzioni uniche e, nella mia immaginazione, hanno anche punti di contatto, pur essendo diverse, compreso il viola, colore non così scontato e non così ricorrente nelle architetture della città.
Poi ci sono scorci, portoni – che sono la mia passione – che amo e che cerco quando cammino per la città. Sono una vera fissazione perché raccontano molto dei cambiamenti, del trascorrere del tempo, dell’ingegno di chi ha modificato più volte una serratura per conservare quel portone.
Un oggetto e un luogo del cuore?
Non sono una persona che si lega particolarmente agli oggetti, anzi, mi piace cambiare. Anche in casa di tanto in tanto modifico, sposto, alleggerisco.
Se devo pensare a un oggetto, direi un lampadario di Gaetano Sciolari, trovato per pochi euro al Balon, il mercato delle pulci che a Torino è una vera istituzione.
È un acquisto recente, era malridotto, l’ho risistemato e ora è nel mio bagno.
Il luogo del cuore è la frutteria del Palazzo Reale, che davvero, non so perché, moltissimi abitanti della città non conoscono. Attualmente è la caffetteria del Palazzo Reale e per questo è più conosciuta dai turisti che dai torinesi, ma una volta era la Regia Frutteria in cui venivano conservate porcellane e argenti della Famiglia Savoia. È stata oggetto di un intervento di ristrutturazione che mi piace molto: lo spazio è piuttosto cupo, l’illuminazione generale fioca, ma questa soluzione mette ben in evidenza le teche con le argenterie. Trovo che l’intervento abbia permesso di mantenere vivo un certo allure sabaudo, magico, unico, a tratti altero e a tratti, come si dice a Torino, fanè. Niente è troppo.
Un viaggio e un luogo che ami e che consigli.
La città del cuore è Parigi, dove ho vissuto e lavorato un anno, nello studio dell’architetto Jean Pierre Buffi. Parigi non è una città da viaggio mordi e fuggi, bisogna viverla per amarla, conoscerla, farsi penetrare.
Il viaggio invece che consiglierei è Istanbul, il posto nel mondo in cui nella mia vita ho percepito l’incontro tangibile fra Oriente e Occidente. È una città che richiede un po’ di tempo per essere scoperta, in tutte le sue contraddizioni. Penso per esempio alle donne, ai costumi e alla libertà di espressione: a Istanbul ci sono donne bellissime, alcune delle quali sono completamente velate e ne scorgi solo gli occhi, altre che non abbracciano strettamente i dettami coranici e altre ancora che ti aspetteresti di incontrare qui, adesso, vestite di colori accesi e con i tacchi alti. È solo un esempio per dire come, in questa città, in ambiti diversi, riescano a convivere realtà diverse e talvolta estreme.
Tutto convive, come convivono le moschee e le chiese, le culture e le religioni.
Architetture minimali e architetture contemporanee con l’opulenza della decorazione orientale.
Da Istanbul mi sono portata a casa dei bicchieri di vetro, di quelli con due pareti: l’esterno è un cilindro trasparente minimale, l’interno riprende la forma a clessidra di un tipico bicchiere del tè. Un oggetto semplice ma una grande idea. Sintesi della modernità del design e della tradizione del rito del tè.
Cosa consiglieresti a una o un giovane achitetta/o che inizia il mestiere ora?
Consiglierei di buttarsi, provare e di sbagliare. Di farlo subito. Di non aspettare perché i mezzi a disposizione oggi consentono di costruire il proprio percorso con maggiore autonomia di una volta. Consentono di entrare in relazione con imprese, brand e clienti con più facilità rispetto al passato.
Il sito di Nicoletta http://www.fattoreq.com/
Lascia un commento