Quando viaggia si porta sempre dietro un taccuino su cui disegnare, schizzare, raccontare. Piccoli Carnet de voyages, un po’ diari un po’ sketchbook.
Nel suo sito si descrive così “Mi chiamo Elena Beatrice e sono filmmaker e illustratrice. Credo che le storie possano contribuire a cambiare il mondo: la mia missione è trovare il modo giusto per raccontarle”.
Questa la sua vita di adesso.
Elena, tante vite, una dopo l’altra, per costruire quella fatta su misura per te. Come ci sei arrivata?
Attraversando vite diverse. Il mio percorso formativo è distante da ciò che faccio adesso. Mi sono laureata in Medicina e per qualche anno ho lavorato come medico, ma ho presto capito che quella non era la mia strada. L’ultimo anno di liceo ero indecisa fra la grafica, la scenografia e la medicina; alla fine ho scelto quest’ultima. Ho pensato che se non avessi intrapreso in quel momento quegli studi non l’avrei fatto mai più. Studiare in generale mi piace molto e la medicina è un settore trasversale e molto stimolante. Ora, ogni tanto, mi chiedo dove sarei se avessi saltato quel percorso, ma so anche che non sarei quella che sono ora senza lo studio della medicina.
Ho avuto da sempre tanti interessi e la curiosità è stata il filo rosso che ha legato tutte le mie scelte. Sono una persona che ora verrebbe definita “multipotenziale”. Alla ricerca di qualche cosa di nuovo, attenta a ciò che accade attorno a sé. Desiderosa di vedere, scoprire, esplorare. Di apprendere nuove cose. In tutto questo percorso il disegno mi ha accompagnato sempre, fin da piccola.
Cosa è per te il disegno?
È sempre stato un modo per comunicare: una valvola di sfogo, un canale per esprimere le mie emozioni. L’espressione artistica, qualunque essa sia, ha una forza infinita per me. In più pratico yoga quasi tutte le mattine e anche quello mi ha cambiato la vita: negli anni ho capito che “la pancia” non sbaglia mai, il corpo mi segnala quando una cosa è giusta oppure no, e tutto ciò che passa attraverso di lui mi è utile per veicolare l’energia e le emozioni.
E il viaggo?
Ho sempre viaggiato tanto, fin da bambina, anche con i libri e con la mente, soprattutto grazie ai miei genitori. Crescendo il viaggio è diventato anche una fuga. Nei momenti in cui non ero soddisfatta di come andava la vita viaggiavo sola e stavo bene: libera di essere me stessa, cosa che forse non succedeva nella quotidianità. Tornavo arricchita e diversa, ma subito avevo il desiderio di ripartire.
In un momento di forte crisi ho deciso di fare il Cammino di Santiago e lì qualcosa è cambiato: probabilmente pensare camminando mi ha cambiato! Ho realizzato cosa mi faceva stare bene e chi ero. Dopo ho sbagliato ancora parecchio, ma ho iniziato a essere più autentica, soprattutto con me stessa.
Adesso il viaggio è un bel momento: è scoperta, esplorazione. Spesso con mio marito cerchiamo di avere un focus e di renderlo “un’esperienza”. Non ho più molta voglia di viaggiare sola, amo ritagliarmi momenti di solitudine, per disegnare e creare Carnet di viaggio, ma mi piace condividere.
Dal Cammino di Santiago a una strada diversa, che ti ha portato a lasciare la medicina. Immagino non sia stato semplice.
No, per nulla. È stato faticoso e difficile. Pensare di aver dedicato dieci anni della vita a un percorso e capire poi che fare il medico non era ciò che desideravo, non è stato banale. Mi dispiace per l’investimento fatto, mio e della mia famiglia. Ho sempre amato i settori creativi, ma non ho mai avuto il coraggio di vederli come il mio lavoro. Probabilmente non mi sono trovata nell’ambiente giusto per coltivare queste attitudini. Negli anni, pur studiando altro, ho continuato a disegnare e sono sempre stata appassionata di video, di cinema, di arti visive.
Poi ho incontrato Daniele Lince, che è diventato mio marito. Daniele fa il regista e lavorava già nel settore. Quando è iniziata la nostra storia ho colto l’occasione per mettermi in gioco e seguire le mie ambizioni artistiche, facendole diventare la mia professione.
Quando hai capito che la scelta fatta era quella giusta.
Non c’è stato un momento, ce ne sono stati tanti. Oggi ci sono momenti in cui provo “la gioia da dentro” e mi sembra incredibile. Sono momenti in cui un disegno funziona, un corto riceve apprezzamenti, sono soddisfatta del risultato o un cliente mi richiama. Quando mi rendo conto che mi sveglio al mattino e potrò fare yoga e poi pensare a una storia o un’idea, lavorare a un’ illustrazione o a un film, non mi pare vero! Intendiamoci, non sempre è tutto facile, lavoro molto più di prima, con più ansia e più stress da prestazione. Però sono felice perché faccio ciò che mi piace.
Come è lavorare con tuo marito?
Difficile e bellissimo. Difficile perché spesso vita e lavoro si fondono, bellissimo… per lo stesso motivo!
Spesso facciamo regia insieme ma, anche nei casi in cui non siamo entrambi registi, siamo coinvolti uno nel lavoro dell’altro. La nostra fortuna è che riusciamo sempre a trovare un punto di vista forte che condividiamo. Abbiamo competenze diverse, pur sullo stesso lavoro. Daniele ha sempre mille idee, ha maggiori capacità tecniche e fa questo mestiere da molti più anni. Io riesco a capire di più le persone – e quindi i personaggi – ho un ruolo importante nello sviluppo dei progetti. Il fatto di essere medico sicuramente entra in gioco: ho una visione più ampia e un modo diverso di vedere le cose. All’inizio non parlavo molto del mio background, non mi sembrava una buona presentazione nell’ambiente creativo, ora lo considero il mio super-potere!
Il vostro futuro.
Si costruisce giorno per giorno. Il 2018 è stato un anno ricco. Abbiamo realizzato due corti, reVirgination e Il ragazzo che smise di respirare, che sta ottenendo ottimi risultati, e due documentari, Get Big e Watch The Tempo. Ora ci sono tantissimi progetti in corso, dita incrociate e duro lavoro!
In più c’è la mia attività di illustratrice a cui cerco di dedicare qualche ora tutti i giorni. Amo realizzare Carnet di viaggio, so che dovrei dedicare più tempo e trovare un modo per dar loro più visibilità. A proposito dell’illustrazione, mi piacerebbe prima o poi unirla al film-making, magari con un film d’animazione… chissà!
Ci sono ancora tante cose da fare. Un passo alla volta, come nel Cammino di Santiago.